Come riconoscere “Ogni spazio felice”: la rivincita dal basso, secondo Alberto Schiavone

 

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Editore: Guanda

Autore: Alberto Schiavone

Pagine: 238

Prezzo: 16,00 €

 

“Il citofono suona tre volte, è come un lamento. Ada non si muove dalla sedia. Scarabocchia le pagine di una rivista e intanto svuota, non troppo lentamente, dei bicchieri di vino bianco. Fuma in silenzio, borbotta e storce il collo. Ogni tanto si produce in piccole frasi: domande al muro, imposizioni alla credenza, richieste al lampadario. È una creatura fragile e offesa, la cui vita scorre apparentemente placida. Ma scorre, appunto, come la serata di un cameriere che non vede mai terminare le cose da fare, le comande da sbrigare, i clienti da servire”.

Questo l’incipit di “Ogni spazio felice” di Alberto Schiavone, decisamente una delle scoperte letterarie dell’anno. Romanzo ambientato a Milano, che ha come protagonisti Ada e Amedeo, pensionati sessantenni abitudinari e assuefatti da infelici circostanze di vita. Una normale coppia “stanca”, due persone a cui non succede nulla di speciale. È solo vita, è solo ciò che potrebbe succedere a chiunque. Ma è anche la rivincita dal basso di esistenze “minori”, che conquistano e – a sorpresa – vincono (“Stoner” docet, anche stavolta).

I due coniugi sono sposati da una ventina d’anni e, come potrebbe accadere in ogni coppia, nella loro vita inizia a scricchiolare qualcosa. Non si tratta di stanchezza, neanche, a mio parere, di una reale dimenticanza dell’amore che li lega: è un dolore antico che li ha separati e li ha condotti, silenziosamente e pericolosamente, alla rovina, all’apatia, all’inettitudine a vivere e a trovare, di nuovo, la bellezza della loro relazione. Dapprima senza segnali chiari, poi in modo sempre più evidente e preoccupante. Si tratta della morte di un figlio, avvenuta incidentalmente durante una gita scolastica. Una bravata tra ragazzi, che ha cambiato il corso della loro vita.

La storia inizia con un’immagine che sarà spesso ricorrente: quella di una donna che ha affogato tutto il suo dispiacere nell’alcool, e che da questa torbida dipendenza non è in grado di uscire. Eppure Ada, un tempo, era una professoressa di lettere, molto stimata e sempre ben curata, moglie dolce e affettuosa con i due figli adottati, Sonia e Alex. L’immagine del presente ne restituisce un ritratto irriconoscibile allo specchio, appannato dal fumo delle sigarette, dal cattivo odore della loro casa, dalla noncuranza e l’indifferenza a qualsiasi cosa. Persino i muri, i mobili del loro soggiorno sono impregnati da questo malessere e dall’abbandono, chiedono aria pulita, porte e finestre aperte, vie di fuga ad un’insopportabile staticità. Amedeo, d’altro canto, non è stato in grado, nel corso degli anni, di curare la sofferenza della moglie, quasi fosse diventata “altro” rispetto alla donna di cui un tempo si era follemente innamorato: asseconda le sue richieste, senza rendersi conto di essere diventato complice della sua dipendenza e della sua infelicità, totalmente soffocato dal senso di colpa e dalla sua incapacità a gestire il problema.

Ada è diventata un’arresa, sembra aver dimenticato tutto, in primis se stessa. E Amedeo soffre, soffre perché ha bisogno di lei, ha bisogno di ritrovare la sua immagine autentica. Inconsapevolmente, anche lui si arrende, come se non si aspettasse più nulla dalla vita. Questa mancanza lo porta, spesso e volentieri, a inventare situazioni: è lo spazio felice che si ritaglia nei momenti di solitudine e che gli permette di evadere dall’ordinario. Basta poco per accendere la sua immaginazione: pensa a vite, situazioni, storie che per qualche minuto lo trasportano altrove, lo rendono regista di vita, forse proprio perché nella sua, di vita, non è in grado di tenere tutto sotto controllo. Un ex vigile urbano, che non riesce più a dirigere il “traffico” della sua esistenza, non sa più quali direzioni prendere, sparisce nella solitudine e nel ripiegamento su se stesso. Eppure, a scuotere l’immaginazione di Amedeo e l’oziosa rinuncia esistenziale di Ada, intervengono alcuni fatti inaspettati, che avranno per la loro storia una valenza fondamentale.

Prima tra tutte l’annuncio della gravidanza di Sonia, che per un attimo risveglia Ada e le regala la felicità di diventare nonna. Invece la notizia ha un lato negativo: il fidanzato della ragazza l’ha abbandonata proprio dopo aver saputo che aspettava un bambino. Da questo momento in poi Amedeo si impegnerà a trovare il ragazzo e a parlargli della questione, non senza difficoltà e qualche situazione sicuramente spassosa per il lettore (per il personaggio decisamente meno!). Nel corso della storia, a sorpresa, si insinua una dose attraente di mistero ed il romanzo si tinge di giallo. Ad un certo punto sembra che tutti siano spariti: la gatta Ginevra, il fidanzato di Sonia, il bambino scomparso misteriosamente a Milano, la cui notizia trapela dalla tv e tocca da vicino Amedeo, stimolando la sua fantasia e portandolo ad immaginare cosa possa essere successo.

Tra viaggi in periferia e giornate passate dalla nuova vicina del piano di sopra (da cui Amedeo si sente attratto), l’ex vigile urbano percorre la sua città con un nuovo spirito, che lo rende agli occhi del lettore un personaggio tragicomico, un uomo a cui ci si sente vicini, si prova una sorta di tenerezza bonaria per la sua buona volontà ed ingenuità. Perché lo sentiamo autentico, senza costruzioni, è un uomo che fa del suo meglio per far funzionare le cose, seppur fallendo miseramente. Sappiamo anche che nonostante le avances (comiche) e le situazioni che si creano a casa della sua vicina, lui rimane fedele all’amore della moglie. Schiavone è talmente bravo a lasciar trasparire quest’ironia e la dolceamara consapevolezza di Amedeo, che per noi sembra impossibile parlare di tradimento. Anzi, la breve relazione rimane in secondo piano, e mette in evidenza l’ingenuità del personaggio in modo leggero, divertente. Si apprezza molto questa mescolanza di toni, dal sorriso alla drammaticità della perdita di un figlio e del problema dell’alcolismo, che raggiunge il culmine nel momento in cui Ada è vicinissima alla morte. Ecco perché ho apprezzato tantissimo lo stile dello scrittore, che è stato in grado di conciliare due dimensioni lontane con una scrittura semplice, ricca di dialoghi, scorrevole, senza cadere nella banalità. Dalla lettura traspare, a mio parere, anche il punto di vista di chi scrive: c’è tanta vicinanza e solidarietà nei confronti della coppia, ma soprattutto nei confronti di chi nella vita si trova a dover affrontare situazioni così spiacevoli, diventando degli emarginati, dei reclusi in qualche modo. Anche la scansione del tempo diventa strumento e chiave di lettura del testo: il romanzo racconta gli avvenimenti di una settimana esatta (la suddivisione in capitoli riporta il nome del giorno, a partire dal lunedì) mostrando come, in un lasso di tempo così ridotto, tutto possa finalmente cambiare e restituire ai due protagonisti la purezza dei loro sentimenti e la voglia di andare avanti, insieme.

“Ada ha voglia di bere. Amedeo lo capisce e capisce che la loro biografia è fatta di Ada che ha voglia di bere e di lui che la capisce. Esiste il dolore, il piacere, e tutta la gamma di altre storie. Guardano indietro, oppure avanti. Il presente è sempre vuoto, privo di pensieri come un giardino d’estate”.

“Ogni spazio felice” è lo spazio che ognuno di noi ha diritto a guadagnarsi. È lo spazio dell’amore, degli affetti, della famiglia. Che felice proprio non è, anzi, spesso e volentieri è uno spazio in lotta e, come in questo caso ha bisogno di risvegliarsi, di ritrovare un’identità perduta. Però lo sappiamo, è lo spazio che dà senso alle nostre vite, e per questo è tremendamente bello.

Ioanna

 

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